Oleg V. Khlevniuk, Stalin. New Biography of a Dictator (Yale University Press, 2015)




Oleg V. Khlevniuk,

Stalin. New Biography of a Dictator,

Yale University Press, New Haven-London 2015, pp. XVI-392 + 16 tavole fuori testo, $ 35,00

 

 

Lo storico di origine ucraina Oleg Vital’evič Chlevnjuk (nato nel 1959) è già noto al pubblico italiano per alcuni importanti lavori, primo fra tutti la sua Storia del GULag. Dalla collettivizzazione al grande terrore (Einaudi, Torino 2006); in Italia egli ha tra l’altro pubblicato Stalin e la società sovietica negli anni del terrore (Guerra, Perugia 1997) e curato Il Politbjiuro staliniano negli anni Trenta. Raccolta di documenti (La Città del Sole, Napoli 2006). Tuttavia la sua bibliografia in lingua russa e inglese è considerevolmente più vasta, e viene ora arricchita da questa nuova biografia di Iosif Vissarionovič Džugašvili detto Stalin (1878-1953), il dittatore che – dopo aver rotto nel 1924 con la tradizione marxista (e leninista/bolscevica) elaborando la teoria nazionalista del «socialismo in un paese solo» (un punto di svolta cruciale, questo, che viene completamente trascurato da Chlevnjuk) – esercitò il proprio potere assoluto nell’Unione Sovietica dal 1929 fino alla morte.

Chi legge queste righe avrò notato che l’anno di nascita di Stalin sopra indicato non è quello (9 dicembre 1879) solitamente attribuitogli fino all’inizio degli anni Novanta. Nelle prime pagine del suo lavoro, Chlevnjuk chiarisce questo piccolo mistero: «Secondo la sua biografia sovietica ufficiale, Stalin nacque nel 1879. In realtà Ioseb Jughašvili (il suo nome [georgiano] di nascita) era nato un anno prima. Ovviamente Stalin sapeva dove e quando era nato: nella piccola cittadina georgiana di Gori, in un remoto angolo del vasto impero russo. Il registro di una chiesa di Gori (conservato nell’archivio personale di Stalin) fornisce la data esatta: 6 dicembre 1878. Tale data può essere riscontrata in altri documenti, come il suo diploma conseguito nella Scuola teologica di Gori. In un modulo compilato nel 1920, il suo anno di nascita viene ancora indicato come 1878. (…) Dopo che egli ebbe consolidato il proprio potere, una grande celebrazione fu organizzata in onore del suo cinquantesimo compleanno, il 21 dicembre 1929. La confusione non riguardava soltanto l’anno di nascita, ma anche il giorno, che veniva indicato come il 9 dicembre (vecchio stile), anziché il 6. (…) Il motivo di questi cambiamenti deve ancora essere appurato. Ma una cosa è chiara: negli anni Venti Stalin decise di ringiovanirsi di un anno. E lo fece» (p. 11).

La biografia di Stalin scritta da Chlevnjuk incorpora questa e altre informazioni, frutto della diligente consultazione degli archivi sovietici negli ultimi quindici anni. Ma l’autore ha scelto di limitare la mole del volume, che risulta pertanto oltremodo selettivo. Così alcuni passaggi cruciali della carriera politica del despota del Cremlino vi vengono poco più che accennati, anche se taluni snodi avrebbero meritato una trattazione più ampia – è il caso del ruolo controrivoluzionario di Stalin rispetto alla Guerra Civile spagnola del 1936-39, che viene liquidato in meno di due pagine; dei grandi processi-farsa di Mosca del 1936-38; e dell’epurazione dei vertici dell’Armata Rossa nel 1937 –, o sono addirittura inspiegabilmente omessi, come la discussione sulla «questione georgiana» svoltasi in occasione del XII Congresso del Partito bolscevico nell’aprile 1923 o la politica tappista/menscevica adottata da Stalin rispetto alla rivoluzione cinese del 1925-27, o ancora l’elaborazione e il significato della politica collaborazionista di classe dei Fronti Popolari, ufficialmente adottata dallo «Stalintern» nell’estate del 1935.

Più in generale, la storia sociale del sistema staliniano è pressoché assente dal libro, nel quale manca inoltre un’analisi della stalinizzazione della Terza Internazionale Comunista e dei vari partiti comunisti nazionali – uno degli aspetti cruciali dell’attività del dittatore a partire dalla metà degli anni Venti. Di conseguenza, alcuni protagonisti di primi piano della storia sovietica non vengono menzionati neppure una volta (è il caso, ad esempio, di Karl Berngardovič Radek), e del tutto assenti sono anche molti altri personaggi importanti del firmamento stalinista mondiale (basti citare i nomi di Palmiro Togliatti o di Maurice Thorez, per non parlare di Georgi Dimitrov, che viene menzionato, en passant, una sola volta), mentre la proiezione internazionale dello stalinismo si limita essenzialmente ai paesi in cui il modello «sovietico» andò al potere grazie all’occupazione dell’Armata Rossa o lo conquistò al termine di una lotta militare vincente condotta sotto la guida dei partiti staliniani autoctoni, come in  Jugoslavia e in Cina (ma il caso dell’Albania non viene affatto preso in considerazione). L’impressione generale è che Chklevnjuk abbia deciso di rivolgersi prevalentemente ad un pubblico russo e statunitense – e la bibliografia da lui utilizzata sembra dimostrarlo.

Le idee politiche di Stalin, insomma, trovano poco spazio in questa biografia scritta sotto il segno del pragmatismo. E l’argomento centrale che percorre tutto il libro è la sete di potere di Stalin, il quale, nominato segretario «generale» del Comitato Centrale bolscevico nell’aprile 1922, dopo un periodo di alleanza con Zinov’ev e Kamenev – la cosiddetta trojka degli anni 1923-25 – e successivamente, nel 1926-29, con l’ala destra del partito capeggiata da Nikolaj Ivanovič Bucharin, diventò infine padrone assoluto del partito e dello Stato sovietico. Per mantenere un tale, enorme potere, Stalin diede prova di un’eccezionale capacità di lavoro: anche nei periodi di vacanza, «smaltiva» una cinquantina di rapporti e lettere al giorno; a Mosca o nella sua dača era solito tenere riunioni fin nel cuore della notte; e nell’arco di un trentennio ricevette nel suo ufficio al Cremlino oltre tremila visitatori.

Una delle cose più sorprendenti che si incontrano tra le pagine del libro è che, ad un certo momento, Stalin cercò di auto-assolversi dalle proprie responsabilità di artefice del Grande Terrore degli anni Trenta. In una conversazione con l’ingegnere aeronautico Aleksandr Sergeevič Jakovlev, egli attribuì tutte le colpe a Nikolaj Ivanovič Ežov, capo del famigerato NKVD dal 1936 al 1938 (p. 157). Chlevnjuk fa giustamente notare l’inconsistenza di tale pretesa, sottolineando come Ežov non avesse fatto altro che eseguire gli ordini di Stalin, vero ideatore di tutte le decisioni attinenti “alle epurazioni delle istituzioni di partito e di governo e alle operazioni di massa che colpirono i cittadini comuni” (p. 159). Al di là del nome che gli venne affibbiato, la ežovščina – il periodo più sanguinoso del terrore nell’Unione Sovietica – fu un prodotto della criminale spietatezza (e della paranoia politica) con cui Stalin si sbarazzò della «vecchia guardia» bolscevica e di tutte le forme di dissenso all’interno del partito e nella società sovietica.

Non superficiale è anche, ad esempio, la trattazione dei rapporti tra la Russia staliniana e la Germania nazista. Pur lasciando «aperta» la questione delle lontane origini del trattato di non aggressione stipulato tra i due paesi nell’agosto 1939, Chlevnjuk ci ricorda che fu Adolf Hitler ad assumere personalmente l’iniziativa: non appena il cancelliere del Reich ebbe deciso che l’invasione nazista della Polonia, prevista per il 1° settembre, necessitava della cooperazione sovietica, egli accelerò i passi per un riavvicinamento tra i due paesi e, il 21 agosto, Stalin ricevette una sua lettera in cui venivano esplicitati i piani tedeschi rispetto alla Polonia e manifestato il desiderio urgente di concludere un patto nel giro di pochi giorni (p. 166). All’indomani Stalin e il suo fido luogotenente Vjačeslav Michajlovič Molotov accolsero a Mosca il Ministro degli Esteri tedesco Joachim von Ribbentrop, col quale conclusero rapidamente, il 23 agosto, il patto scellerato che prevedeva (tra l’altro) la spartizione della Polonia tra i due contraenti. Allorché la Gemania nazista decise di stracciare quel trattato invadendo l’Unione Sovietica, il 22 giugno 1941, Stalin fu colto di sorpresa. Nonostante i ripetuti avvertimenti ricevuti, egli non credeva alle notizie che continuavano a giungere, ipotizzando invece che l’attacco nazista fosse frutto di una congiura ordita dai generali tedeschi e che sicuramente Hitler non ne era a conoscenza (p. 199). L’indecisione di Stalin nelle prime ore di guerra e il suo rifiuto di rivolgere un appello via radio al popolo russo dimostravano quanto egli temesse – del tutto fondatamente – che la sua strategia si fosse rivelata fallimentare nell’evitare il conflitto (p. 202), sprofondando così il paese in un drammatico incubo che sarebbe costato oltre venti milioni di morti.

Di godibilissima lettura e destinata al vasto pubblico, questa nuova biografia di Stalin costituisce, se non altro, una corposa introduzione a quello studio più approfondito – soprattutto dal punto di vista dell’elaborazione politica – che il personaggio sicuramente merita, nonché ai singoli eventi storici che lo videro protagonista. I vari capitoli del libro sono inframmezzati da una serie di dettagliate ricostruzioni storiche degli ultimissimi giorni di vita del dittatore sovietico, dal 1° al 5 marzo 1953.  

 

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http://yalepress.yale.edu/yupbooks/book.asp?isbn=9780300163889